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Gesti estremi: il suicidio
“Il male è per chi va, chi campa si rifà.”
di Ylenia Jessica Micale
"Neanche per un uomo la vita è facile, sai? Poiché avrai muscoli più saldi, ti chiederanno di portare fardelli più pesanti, ti imporranno arbitrarie responsabilità. Poiché avrai la barba, rideranno se tu piangi e perfino se hai bisogno di tenerezza." (Lettera a un bambino mai nato)
Toccante questa citazione della scrittrice contemporanea Oriana Fallaci… più ancora che toccante potremmo definirla vera. La vita è un percorso breve e non per questo facile, un sentiero pieno di salite e discese, strade maestre e vicoli secondari, che permettono ad ogni uomo di conoscere e vivere tutte le sfumature dell’esistenza, belle o brutte che siano. Nei momenti di gioia, si apprezza e si loda la vita; meno quando le cose non sembrano andare per il verso giusto. È vero, tuttavia, che senza aver conosciuto il dolore non saremmo capaci di apprezzare e godere dei piccoli momenti di felicità.
Man mano che si cresce aumentano le responsabilità, le difficoltà da affrontare e i fardelli si fanno più pesanti, specialmente quando le nostre azioni ricadono su qualcun altro, su un figlio ad esempio. In un momento di crisi profonda, come quella che sta vivendo la nostra Italia, per alcune persone questi pesi sembrano diventare intollerabili e sono sempre più numerosi i gesti estremi, i suicidi.
Quanti padri di famiglia si sono suicidati in questi ultimi mesi? Il numero è inquietante. Ricordiamo il caso recente di un disoccupato di Ancona di 53 anni, che si è gettato dal terzo piano della propria abitazione, piombando a terra proprio davanti agli occhi del figlio. O ancora, il caso dell’artigiano di 64 anni, residente a Genova, che lo scorso 24 maggio si è impiccato perché incapace di far fronte ai debiti economici. La lista nera include anche tanti imprenditori: chi si uccide bruciandosi dentro l’auto, come Giovanni Vancheri, l’idraulico di Caltanissetta; chi si spara un colpo di fucile in testa, come il quarantenne avellinese, morto il 22 maggio.
La vita è una continua sfida, mette continuamente alla prova. Nessuno è immune dai problemi ma è il coraggio di superarli che fa la differenza. Come suggerisce Rita Levi Montalcini: “nella vita non bisogna mai rassegnarsi, arrendersi alla mediocrità, bensì uscire da quella zona grigia in cui tutto è abitudine e rassegnazione passiva, bisogna coltivare il coraggio di ribellarsi.” Cari lettori, la disperazione, a volte, suggerisce gesti estremi, ma chi si arrende è perduto.
Nell’antichità molti romani, molti filosofi influenzati dallo Stoicismo come il celebre Seneca, consideravano il suicidio un atto di gloria ed onore. Proprio Seneca affermò nella lettera 70, indirizzata al suo amico Lucilio, che "il suicidio è lecito e talvolta è doveroso sceglierlo. “ Oggi una concezione di questo tipo è inammissibile: più che un atto di gloria sembra un gesto di folle disperazione che mette a nudo la fragilità umana. Non solo il Cristianesimo ma anche la ragione induce ad affermare che la vita è il valore supremo, da custodire e preservare.
Eppure, troppo spesso la cronaca riporta notizie di genitori che uccidono i figli e poi si suicidano… cosa passa nella mente di queste persone per indurli a compiere gesti così estremi? Sicuramente alla base c’è una profonda depressione che scatena disturbi psichici seri; occorrerebbe intuire i campanelli d’allarme ed aiutare chi si trova in questo stato.
La letteratura dà ampio spazio al suicidio, in particolare a quello per amore. Un esempio molto noto è il capolavoro romantico di Goethe, intitolato “i dolori del giovane Werther”. Quest’opera incarna bene i pensieri e le emozioni turbolente di coloro che decidono di togliersi la vita per porre fine al proprio dolore perché, secondo l’autore, “è più facile morire che sopportare con fermezza una vita dolorosa”. Nella sua opera Goethe descrive nettamente il contrasto tra anima razionale e anima sentimentale, affrontando il tema dell'infelice passione d'amore che raggiunge l'estremo dolore quando Werther apprende che il suo amore è ricambiato ma non potrà essere vissuto. Anche Jacopo, protagonista dell’opera di Foscolo “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”, quando tutti i valori in cui crede crollano davanti ai suoi occhi, reagirà allo stesso modo del protagonista goethiano. Si potrebbe fare una lista infinita di opere che, nonostante trattino di un tema così poco allegro, risultano interessanti nella loro complessità per l’indagine dei sentimenti più estremi dell’animo umano.
Interessante è la visione del filosofo Schopenhauer che, nonostante la sua concezione profondamente pessimistica dell’esistenza, considera il suicidio un'azione inutile e stolta. Dal momento che secondo la sua visione tutto l'universo soffre, l’unica via d'uscita sembrerebbe il suicidio; eppure Schopenhauer lo rifiuta, non perché crea dolore ai cari, come aveva affermato Leopardi rigettando questa scelta estrema, ma perché è visto come ultimo grido di vita. Il suicida esprime così il contrario di ciò che vuole dimostrare: il suo amore per l'esistenza.
Ci è stata donata una vita sola e non rinasceremo, né avremo la possibilità di viverne un’altra… allora perché arrenderci come codardi di fronte alle salite?
“Il male è per chi va, chi campa si rifà.”