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Intervista a Idolo Hoxhvogli
autore di "Introduzione al mondo. Notizie minime sopra gli spacciatori di felicità"
di Giulia Lionetto Civa
Idolo Hoxhvogli è nato a Tirana nel 1984. Laureatosi in filosofia all’Università Cattolica di Milano, già vincitore di diversi premi letterari, ha pubblicato scritti in numerose riviste italiane e straniere, tra cui «Gradiva International Journal of Italian Poetry» (State University of New York at Stony Brook) e «Cuadernos de filología italiana» (Universidad Complutense de Madrid). Nel 2011 ha dato alle stampe, per gli editori Scepsi & Mattana, "Introduzione al mondo: Notizie minime sopra gli spacciatori di felicità".
Dice l’autore a proposito del suo libro: “Introduzione al mondo è un libro di frammenti, perché frammentata è la nostra esperienza: un’esperienza incapace di generare una grande narrazione che funga da collante del nostro vissuto autistico e fratturato”. Di cosa si tratta? Di un’analisi lucida e disincantata delle molte, troppe, storture della nostra società: il ruolo totalizzante assunto dai Media, l’assenza di sguardo critico, la strumentalizzazione del dolore e della sofferenza, lo scontro tra Noi e l’Altro, il problema delle radici e dell’identità, l’assenza di emozioni, la speculazione bancaria... Il tutto in un libro, costruito per immagini giustapposte ed aneddoti, che rifiuta una rigida collocazione entro un genere letterario preciso, che si avvale di un linguaggio allegorico, ricco di paradossi, complesso come la realtà che irride. Non è un libro di facile lettura né per i contenuti né per la forma. Nondimeno fornisce degli spunti di riflessione molto interessanti e può essere occasione di “dialogo” tra un giovane scrittore e i giovani lettori della nostra rivista. La “Città dell’Allegria” descritta da Idolo, vuota e superficiale, omologante ed intollerante, è davvero il luogo in cui vogliamo vivere?
1. Nel tuo libro "Introduzione al mondo", si percepisce una consapevolezza amara, un tono risentito, una visione estremamente pessimistica della società attuale che qualche critico ha ritenuto più confacente alla vecchiaia che alla tua giovane età. Sembra che molti si aspettino dai giovani un ruolo totalmente passivo nei confronti della realtà, quasi che la loro mancanza di esperienza debba tradursi automaticamente in assenza di spirito critico. Talvolta gli adulti non pretendono rispetto, ma soggezione. Eppure, i giovani avrebbero tutto il diritto di indignarsi di fronte alle numerose storture della nostra società. Possiamo dire che le giovani generazioni abbiano addirittura il dovere di provare indignazione, dato che il presente pone una serie di ipoteche proprio sulla loro vita? Che giudizio hai dei tuoi coetanei e dei giovanissimi?
Sono d’accordo con te. I giovani devono provare indignazione. Se un giovane non prova indignazione di fronte alle storture sociali, è lui stesso ad essere una stortura sociale. I giovani non possono tollerare il male senza farne allo stesso tempo parte. La tolleranza del male è l’essenza del male. Se i giovani vogliono qualcosa, devono andare a prenderlo. Nella storia non sono mai esistite generazioni che si sono fatte da parte per lasciare spazio ai giovani. Il cambiamento, come il parto, è pieno di dolore e sofferenza, ma permette la nascita di una nuova vita. I giovani devono decidere se essere nuova vita o aborto sociale. I giovani vivranno nel futuro, quindi debbono essere loro a scrivere le regole del futuro, debbono essere loro a disegnare la società futura.
2. Il sottotitolo del tuo libro è Notizie minime sopra gli spacciatori di felicità. Parliamo di questi “spacciatori di felicità”. Ti riferisci ai media che distribuiscono a basso prezzo “l’eroina” da te definita “assenza di sguardo critico”, “pensiero convergente”, “narrazione aproblematica”. Tu rappresenti una società “fondata sull’altoparlante”, ossia sui mezzi di comunicazione di massa che propagano a gran voce un pensiero unico e costringono all’adesione coatta e spesso inconsapevole. L’individuo è privo di replica. Possiamo dire che vige una sorta di dittatura del pensiero? Nel libro si leggono chiari riferimenti al berlusconismo: possiamo affermare che si tratta solo di un exemplum rispetto a un fenomeno che ha proporzioni più ampie? Di una critica a una mentalità più che a una parte politica?
Vige una dittatura del pensiero? Non lo so. So però che le opinioni divergenti sono avversate in maniera violenta. Molte persone non discutono mettendo sul tavolo della ragione gli argomenti migliori, discutono solo in base all’appartenenza a partiti politici, religioni, lobby culturali, gruppi finanziari, cricche varie, blog culturali addirittura! Non parlerei di dittatura del pensiero, ma neppure di libertà di parola, parlerei di libertà condizionata, di libertà che ha delle conseguenze sensibili nella vita delle persone. Siamo liberi, ma la libertà si paga a caro prezzo: carriere mozzate, ostracismi, strategia del fango. Il berlusconismo è solo un pretesto per parlare di un fenomeno più ampio che abbraccia l’intera politica italiana. Attaccare Berlusconi e basta è come guardare un neo sulla pelle di un corpo completamente pieno di metastasi. È serio? No. È onesto? No. È intellettualmente valido? No.
3. Nella città che tu descrivi dominata dalla falsa allegria contemporanea, vive Leo, malato di eccesso d’anima. Che cosa vuoi dire?
Cosa voglio dire lo ha ben espresso, parlando di Introduzione al mondo, Franca Alaimo su Il Fatto Quotidiano: “Perché l’eccesso d’anima sia una malattia che conduce alla paralisi della volontà [all’impossibilità di vivere conformemente al sistema], è comprensibile se pensiamo alle qualità richieste all’uomo contemporaneo, il quale è indirizzato all’utile, alla prassi acritica e all’obbedienza al pensiero mediatico. Possedere un tessuto interiore troppo spirituale [l’eccesso d’anima] rende Leo dissonante, difforme e perciò inadatto alla società in cui vive”.
4. "L’opinionista non viene senza il morto" è il titolo di una prosa del libro. Oggi l’informazione sembra identificarsi con la libertà di parlare e/o di ridere nei salotti televisivi di tutto ciò che accade, calpestando privacy, buon gusto e persino il rispetto per gli altri. Nel libro l’opinionista televisivo è definito “necrovoyeur” perche si eccita con la cronaca nera. In un’altra prosa, Chier spectaculaire, il partecipante di un talk show è rappresentato come un «prestante Ano» in totale sintonia con il pubblico. Qual è il confine tra informazione e disinformazione/diseducazione? Quali possibili correttivi o alternative, a tuo avviso, è necessario proporre?
Non è semplice rispondere. Si tratta di distinzioni che fanno tremare i polsi, data la difficoltà di stabilirle. Schematizzando, potrei dire che si ha informazione quando si propone la verità al telespettatore. Disinformazione è proporre la falsità al telespettatore. L’informazione, a mio parere, deve però essere educata, deve cioè essere rispettosa della dignità dell’uomo, sia quando la persona è oggetto dell’informazione, sia quando la persona fruisce dell’informazione. Non serve trasmettere un film porno per spiegare in televisione come nascono i bambini, così come non serve dire al telespettatore cosa è stato fatto al corpo della piccola Yara Gambirasio. A mio modestissimo parere, indugiare, in un telegiornale, sul cadavere di una persona non è informazione, è pornografia e violenza. La pornografia, infatti, non è la rappresentazione di atti sessuali: pornografia, etimologicamente, significa scrittura, rappresentazione di colui o colei che vende il corpo; pernemi (vendo) e pretium (prezzo) hanno la stessa radice; porno, dunque, non è il sesso, porno è la vendita del corpo. L’informazione non può vendere il corpo straziato dell’innocente, se lo fa è pornografia nel senso deteriore del termine. Correttivi? Rimettere al centro di tutto la dignità della persona umana e le sue esigenze, non solo in campo mediatico, ma in tutti i campi. Pensa all’economia, siamo di fronte all’assurdo nel momento in cui i popoli debbono piegarsi alle esigenze della finanza. Questo è il trionfo della macchina!
5. Vi sono anche dei capitoli sul consumo del sesso, sull’editoria, sull’assenza delle emozioni.
Sì, nella parte centrale di Introduzione al mondo, intitolata Civiltà della conversazione, mi sono concentrato sulle storture del contemporaneo attraverso lo sviluppo di situazioni paradossali, enigmatiche, violente, allegoriche. Per mostrare che l’ovvio del nostro tempo è raccapricciante, l’ho rappresentato, appunto, come qualcosa di non sbalorditivo nella sua mostruosità. L’auto-
6. Mi ha colpito molto una tua frase: “Le radici sono nel futuro come nel passato, perché ciò che siamo non dipende solo dal tempo trascorso, ma anche dalla rappresentazione che abbiamo di noi nel tempo che ancora deve venire”. Il problema delle radici è particolarmente delicato per i migranti. Vorrei chiederti di esplicitare, fuori dalle allegorie del libro, il tuo pensiero in proposito, eventualmente anche facendo riferimento alla tua esperienza personale.
Gli alberi hanno le radici, e stanno fermi. Gli uomini hanno i piedi, e camminano nel mondo. Le radici di ogni uomo sono nel suo animo, nella sua memoria, per questo le radici dell’uomo sono mobili e cangianti, non ferme e definitive. Spesso, alla ricerca delle radici spinge il bisogno di avere un’identità che non abbiamo. Ma l’identità non è un’etichetta che si appiccica, è qualcosa che si costruisce. Io, ad esempio, cosa sono? Per alcuni albanese, per altri italiano. Eppure avere amici eroinomani influenza la nostra identità più che l’essere nati a Tirana o a Roma; avere un genitore miliardario od operaio influenza la nostra identità più che essere nati a Scutari o a Bergamo; aver letto Robert Walser influenza la nostra identità più del non aver letto Migjeni. Quindi, cosa sono? E cosa sono tutti gli altri, se non un fiume cangiante alimentato da mille affluenti?
7. Nel libro viene messo in scena lo scontro tra “noi e altro”: noi è il ricco mondo consumista e altro rappresenta i poveri che, ipnotizzati a loro volta dagli altoparlanti, per realizzarsi vorrebbero gli oggetti di noi. “[L'altro] lotta e getta la propria vita e quella del noi per avere ciò che ha il noi" (pagg. 20-
Il pronostico? Non ci sono differenze tra chi vota a sinistra e chi vota a destra. Le differenze ci sono tra chi sta sopra (chi ha troppo) e chi sta sotto (chi ha troppo poco). L’occidente se non vuole la violenza deve eliminare la paura e la sofferenza che derivano dai bisogni dei popoli occidentali e non occidentali. “È utopia”, potrebbero obiettare. La mia risposta: “Meglio un’incerta utopia che una certissima guerra”.
8. Non legga il tuo libro chi ama il lieto fine. Una risoluzione positiva è impensabile anche per la nostra società o qualcosa (si) potrebbe migliore in futuro? La cultura che funzione può e deve svolgere secondo te? Ha senso limitarsi solo alla critica?
Certo che si può migliorare, basta volerlo. Come insegnava Vico, l’uomo può conoscere ciò che fa, il vero e il fatto sono “reciproci”. Quindi: poiché l’uomo ha costruito questa società, l’uomo è anche in grado di conoscerla nella sua verità, nelle sue ingiustizie e lacerazioni; dati i presupposti l’uomo è in grado di aggiustare questa società, o sostituirla con altro. Senza cultura non c’è futuro. Ribadire la sua importanza è tautologico. Una delle dodici fatiche di Ercole fu ripulire dallo sterco le stalle di Augia. Ecco, criticare significa ripulire dallo sterco. Critica e proposta sono due fasi distinte, ma la critica precede la proposta. Per cui: prima la critica, poi la proposta. Prima spaliamo via lo sterco, poi costruiamo qualcosa di nuovo e migliore. Spesso si obietta: “Tu sai solo criticare”. La risposta potrebbe essere: “Non è colpa mia se le stalle di Augia sono sempre piene di sterco”. Introduzione al mondo contiene anche una fase di proposta, la prosa Se un giorno, nella quale esorto il lettore a smettere di seminare il male se non vuole il trionfo barocco del cancro sociale: secondo un minimalismo messianico, il mondo sarà rivoluzionato dal cambiamento di un dettaglio.
Idolo Hoxhvogli, Introduzione al mondo, Scepsi & Mattana, Cagliari 2012.