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Gli Insegnanti, quegli sfigati!
Da Salvemini alle polemiche di questi mesi: ecco chi siede dietro le cattedre
di Luigia di Biagio
“Un insegnante, che non si sprofondi in temi letterali, artistici o filosofici, ma si occupi di stipendi, di pensioni, di sessenni, urta — sarebbe vano dissimularcelo — contro le abitudini intellettuali di molte, di troppe persone. Per il grosso pubblico, che non vive nella scuola l’insegnante non è un uomo, che mangia, dorme e veste panni: è un essere astratto, indipendente dalle leggi fisiologiche della nutrizione, collocato in un mondo ideale, dove non ha bisogni, non ha preoccupazioni, non ha dolori e si nutre solo di bacche d’alloro e di cipresso. E quando quest’essere convenzionale scende dai cicli azzurri, dove non avrebbe da far altro che disputar lo spazio agli angeli e ai passerotti, e rivela le miserie e le ingiustizie di cui è vittima, ed afferma che prima di essere insegnante, egli è uomo, i più si scandalizzano e gli gridano in tono di rimprovero: «Pensate all’ideale, non di solo pane vive l’uomo». Certo l’ideale è un buon viatico per le lotte della vita, e noi ne abbiamo: ne abbiamo anche troppo. Ma questo non vuol dire che il giusto, il necessario miglioramento delle nostre condizioni materiali non debba essere oggetto delle nostre preoccupazioni e delle nostre cure! Non di solo pane vive l’uomo; ma prima di tutto vive di pane!
Un professore, dopo aver fatto otto anni di studi secondari e quattro, di studi universitari, che coi nuovi regolamenti diventeranno cinque, deve aspettare ancora non pochi anni prima di essere ammesso all’insegnamento. Salvo rare eccezioni privilegiate, la massima parte comincia la dolorosa via crucis della carriera nelle scuole inferiori, con lo stipen¬dio iniziale di L. 1800 e col grado di reggen¬te, per non parlare degl’incaricati che stanno anche peggio e dei quali parleremo in segui¬to. Io, che pur sono stato fra i più fortunati, ho cominciato il mio insegnamento in Paler¬mo nel 1895, con lo stipendio di L. 1800 e insegnando per 18 ore settimanali nella se¬conda classe del ginnasio. Durante il primo anno dovevo rilasciare sullo stipendio il 25 di ritenuta straordinaria, e cosi la mia remunerazione mensile si riduceva a L. 116. Ne spendevo 30 per la stanza, non essendo¬mi lecito andare a dormire in una stalla co¬me il divin redentore; 75 lire erano assorbite da una pensione — ahimè — troppo infe¬riore al formidabile appetito dei miei 22 an¬ni; dieci centesimi di latte per la colazione mattutina, prima delle 3 ore di lezione, mi portavano via tré lire al mese; il giornale (L. 1,50 al mese) e la lavandaia mi ipotecavano altre 5 lire mensili. Mi rimanevano dunque tré lire mensili per acquistar carta da scrive¬re, francobolli, libri, per vestirmi, calzarmi, curarmi in caso di malattia, ritornare a ca¬sa per le vacanze. Ed io, che avevo lavorato accanitamente negli anni più belli della mia vita per conquistarmi questa terra promessa dell’insegnamento, e speravo di compensa¬re la mia famiglia di tutti i sacrifizi che ave¬va fatti per me, io — il signor professore! — dovetti scrivere ancora ai miei per essere soccorso; e feci anche dei debiti! … ”
Questo stralcio è tratto da un articolo, di inquietante attualità, scritto da Gaetano Salvemini nel lontano 1903. Leggendolo, si ha chiara coscienza di come i governi italiani abbiano costantemente sottovaluto e svalutato la figura dell’insegnante riducendo la qualità della professione, il prestigio sociale della scuola e il suo ruolo educativo e formativo. Tuttavia, il quadro odierno appare ancora più sconfortante.
Dietro le cattedre, ecco una categoria ampia ed eterogenea di insegnanti, diversi ma tutti accomunati sotto la grande ed ingiusta etichetta di “sfigati”. Si perché, se a parlar di avvocati, ingegneri, banchieri e imprenditori sono tutti pronti a levarsi il cappello, lo stesso non succede per i professori, categoria infelice, bistrattata dal cinema e dalla Tv, “dimenticata” persino dal ministero preposto. Nel cinema accade sempre più di frequente che l’insegnante assurga ad emblema stesso della ripetitività, di una vita monotona e spenta. Pagato poco eppure malevolmente invidiato per i famigerati giorni di vacanza, poco avventuroso se non per l’eterna precarietà, il mestiere di insegnante è del tutto privo di quell’allure capace di renderlo veramente appetibile e degno di ammirazione. Non si tratta solo dell’annosa questione di una remunerazione poco soddisfacente, denunciata da Salvemini. Sembra, in realtà, che all’opinione pubblica non interessi affatto chi siano gli insegnanti dei propri figli né come vengano scelti né se siano effettivamente qualificati. Ne consegue che nessuna o superficiale (e quindi controproducente) attenzione riscuota il problema del reclutamento degli insegnanti. Le piazze si mobilitano solo quando si parla di tagliare dei posti mai per chiedere l’introduzione di un sistema meritocratico.
Un tempo l’insegnamento era una professione aperta ai migliori laureati: ecco perché la maggior parte di futuri docenti universitari, studiosi o insigni letterati iniziavano la loro carriera come insegnanti di scuola superiore. Si potrebbero ricordare, a titolo di esempio, Carducci o Pascoli… Negli ultimi anni, invece, il neolaureato aspirante docente ha visto allontanarsi e poi svanire la possibilità di un rapido inserimento lavorativo, a prescindere dalla sua preparazione. Il sistema di reclutamento adottato negli ultimi anni, infatti, non si è minimamente preoccupato di selezionare quei meritevoli che, armati di competenza e passione, avrebbero potuto offrire un valido contributo alla formazione dei futuri cittadini. Al contrario ha inserito tutti, eccellenti o mediocri che fossero, in un limbo di attesa, supplenze, incarichi provvisori, impegnandoli in una inverosimile raccolta punti capace di svilire persino l’amore più viscerale per la professione di docente. E di mortificarne la professionalità: basti citare i casi di quelle scuole paritarie che non pagano nemmeno i docenti, i quali accettano di lavorarvi gratis pur di accumulare qualche punto. L’esercizio di una professione, raggiunta dopo cinque anni di studi universitari più uno o due di abilitazione, si trasforma così in un mero esercizio di volontariato. Forse impantanato in quel limbo, potrebbe esserci qualche Giovanni Pascoli, qualche Gaetano Salvemini … Ma sarebbe così strano se un giorno, stanco, decidesse di gettare la spugna o addirittura di mollare in partenza? Stando così le cose, in effetti, la scelta di fare il professore puzza proprio di masochismo!
È stata strana anche quest’idea di valutare i docenti solo sul “quanto” (cioè per quanto tempo) hanno lavorato e non sul “come”. A quanti invocano l’importanza esclusiva dell’esperienza sul campo, bisognerebbe rispondere che il suo riconoscimento non può comunque prescindere dalla valutazione della qualità e dei risultati di quella esperienza. Possibile che non si possano mettere i voti a quelli che per mestiere lo fanno quotidianamente? Possibile che qualcuno possa ancora difendere questo sistema di assunzione assurdo, svilente e paradossale? Certo ci sono i diritti di quanti hanno lavorato per anni: nessuno ha intenzione di cancellarli. Ma penso di poter trovare tutti concordi nel dire che sottoporli a sacrifici fine a se stessi, è stato assurdo e che, riconosciuto l’errore, non ha senso proseguire sulla stessa strada senza cercare opportuni correttivi.
Qualche “Profumo” di novità in tal senso sembra comparire … sono partiti i nuovi corsi abilitanti, saranno ripristinati i concorsi. Eppure… c’è lo strano paradosso dei precari che potrebbero essere stabilizzati e sottratti dal supplizio della raccolta punti tramite un concorso (riservato solo a loro) che rigettano a priori. Il concorso è arrivato tardi, forse, ma mai troppo. Se non altro, ripristina la legge e apre un barlume di speranza per il futuro.
Se un giorno avrò un figlio, credo che dovrebbe ugualmente starmi a cuore la competenza del suo medico e del suo insegnante. Non c’è professione più nobile di quella di chi mette il suo sapere a disposizione degli altri: da ciò è nato il progresso del mondo. Gli antichi lo sapevano, noi lo abbiamo dimenticato. Ragazzi avete il diritto di pretendere che i vostri insegnanti siano capaci, motivati e appassionati. Docenti avete il dovere di pretendere rispetto per la vostra professione e per il vostro ruolo. Non esiste, infine, Stato o Governo che possa dire di assolvere davvero alla sua funzione prescindendo da una seria attenzione alla formazione e alla crescita culturale e morale dei suoi cittadini.