Il 5 maggio di Manzoni - ZIP Rivista Letteraria per i Giovani

Cerca
Vai ai contenuti

Menu principale:

Il 5 maggio di Manzoni

«IL CINQUE MAGGIO»: INNO ALLA FEDE
Scopriamo il vero significato dell'Ode di Manzoni

di Barbara Anastasi

«Il cinque maggio», contrariamente a quanto si crede, non è un inno a Napoleone Bonaparte. Bella Immortal! Benefica / Fede ai trïonfi avvezza! – scrive Alessandro Manzoni nella penultima strofa -  «tra i tuoi successi annovera anche questo: di aver trionfato su Napoleone dandogli forza negli ultimi suoi giorni. Questo trionfo sia per te motivo di gioia, perché mai uomo più grande di Napoleone si chinò con riverenza dinanzi alla Croce». Quella religiosa, allora, è la vera ispirazione! Per cui l’ode non è un inno a Napoleone ma alla fede cristiana. Napoleone Bonaparte è visto come lo strumento della Provvidenza, come colui che, quando trascende con la sua ambizione il fine assegnatogli, viene sconfitto e ne soffre. Poi, nel dolore, si redime.
L’opera valuta la vicenda napoleonica alla luce di valori eterni e universali e non di criteri storico-politici; per questo, essa è una critica essenzialmente religiosa. Anzi, è definibile come un vero e proprio «inno sacro», al di fuori delle circostanze del calendario liturgico. Significativo, a questo proposito, è il legame con il principale degli «Inni sacri», la «Pentecoste», a partire dalla presenza in entrambi di un identico verso (dall’uno all’altro mar, v. 30 del «Cinque maggio» e v. 8 della «Pentecoste»).
Vero è che Francesco De Sanctis riduceva l’elemento religioso a semplice «cornice del quadro» e privilegiava la prima parte, vedendo in essa la rappresentazione epico-popolare della «leggenda» napoleonica. Però è l’ultima parte che costituisce la vita intima di tutto il racconto, nel senso che l'individuo o l'eroe, grande che sia, e sia pure Napoleone, non è che un'«orma» del creatore, uno strumento «fatale», la cui gloria terrena, posto pure che sia vera gloria, non è in cielo che «silenzio e tenebre».
«L’ode testimonia – scrive Federico Roncoroni - non tanto l’ammirazione di Manzoni nei confronti di Napoleone, quanto piuttosto la sua esigenza di collocare un così grande personaggio nell’ambito della sua concezione della storia. Il vero protagonista dell’ode, in questo modo, non è Napoleone, ma Dio che, appunto secondo la concezione cristiana che Manzoni ha della storia, si è servito di lui per realizzare i propri misteriosi progetti e poi l’ha atteso al varco per salvarlo e dimostrare ancora una volta la sua misericordia».  «Il cinque maggio – affermano Sambugar ed Ermini - non è un’ode celebrativa del genio napoleonico o il compianto per la morte nella dolorosa prigionia, ma Napoleone è assunto a segno immensamente grande e perciò estremamente significativo delle vicende umane che sarebbero assurde, ove non intervenisse una più alta forza ad illuminarle».«Il componimento così chiarisce solo alla fine la sua natura: non è nato per glorificare le imprese di Bonaparte, ma per riflettere sul fatto che ogni successo umano è effimero e non duraturo; forse solo Dio può garantire la grandezza in una vita che non è di questo mondo» (Fedi, Arancini, Masi, Capecchi).
«Nella grandezza dell’uomo si avverte dunque la grandezza di Dio, ma questa umilia e ridimensiona quella» (Secondo Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese e Donnarumma). Certo, «La meditazione di Manzoni si concentra sulla straordinaria vicenda di Napoleone in una prospettiva che, pur partendo dagli eventi estremi, finisce per farsi interprete dei segreti travagli di un’anima, della lotta interiore che conduce alla conquista più alta: l’accettazione della misericordia divina. […] Lo spunto celebrativo, la romantica esaltazione dell’eroe restano così in secondo piano di fronte ad una vicenda che diventa espressione del contrasto tra l’illusorietà della gloria terrena e la pienezza della fede. Pertanto la storia di Napoleone […] si ricompone allo specchio dei suoi ultimi giorni: la meditazione sulla morte serve a capire il senso della vita, la conversione alla fede rappresenta la sua più alta vittoria, naturalmente secondo l’ottica religiosa di quel paradosso della croce cui esplicitamente si accenna negli ultimi versi» (Di Sacco, Baglio, Camisasca, Mangano, Serio).Già Petronio e Marando, comunque, avevano scritto che: “L’ode non è un inno alla gloria terrena di Napoleone” e Natalino Spegno aveva affermato che la sintesi della vita eroica di Napoleone è “ripensata alla luce della morte e dell’eternità, che annulla le effimere glorie terrene e adegua i grandi agli umili, i tiranni agli oppressi”. Il Flora nel 1950 così si esprimeva: “E il finale di questo canto epico a ritmo di danza solleva Napoleone fuor dalle rie parole, non per quella gloria umana che egli raggiunse; ma per aver come gli umili piegato il ginocchio innanzi a Dio: il più potente degli uomini si chinò innanzi alla Croce». Il vero motivo ispiratore, allora, è «Il motivo religioso, che conferisce unità alla possente e sintetica rievocazione della vita di Napoleone Bonaparte. L’ansia ambiziosa dell’attesa, la gloria sfolgorante delle vittorie, l’amarezza delle sconfitte e dell’esilio: tutto trova il suo centro nella meditazione religiosa del poeta. Qui, come altrove, ma con intensità eccezionale, la storia degli uomini è sentita come manifestazione della Provvidenza: e come in nessun’altra opera manzoniana, sono stati posti l’uno di fronte all’altro l’umano e l’eterno» (Vincenzo Courir).  «Nel Cinque maggio predomina il sentimento religioso: è inno sacro, rappresentazione della “Provvida sventura”, apologia della fede, meno che tutto “ode civile”» (Folco Zanobini).
La figura di Napoleone è solo lo spunto occasionale, il movimento di partenza per pervenire al più profondo motivo poetico. La grandezza di Napoleone serve, infatti, come un binocolo usato a rovescio, a confermare nella sua infinita piccolezza e fragilità di fronte a Dio lo scarto infinito che esiste tra il piano dell’agire storico degli uomini e la misteriosa e remota logica del piano salvifico di Dio (nui/chiniam la fronte al massimo/fattor), creatore ed ordinatore del mondo. Così Manzoni torna a confermare il suo abbandono fiducioso a Dio (il Dio che atterra e suscita/che affanna e che consola) e, insieme, la sua perplessità ideologica e morale sui mezzi e sui fini dell’agire storico degli uomini.
«Dagli argomenti sviluppati nelle sequenze [dell’ode] si deduce facilmente come non sono le imprese che resero celebre Napoleone (alla rievocazione delle quali è dedicato appena un terzo dell’intera composizione) a costituire il topic del testo, bensì la riflessione sul disegno provvidenziale che anima la storia, all’interno del quale si inserisce il dramma umano del personaggio e il conforto della fede. Tra le prove poetiche più profondamente cristiane, l’ode esprime, insieme alla «Pentecoste», un esempio mirabile di poesia religiosa» (Mariani, Gnerre, Mordenti). Manzoni, infatti, rifiuta ogni sopravvalutazione dell’individualità umana e della gloria terrena, anche se non nega il fascino del momento terreno dell’esperienza umana. Inoltre, da buon liberale an-ticesarista ed antiautoritario, non aveva mai amato Napoleone. Lo ammirava, ma non lo amava. A-stenendosi da un giudizio «arduo» che toccherà «ai posteri», il Manzoni individua comunque, in questo grande personaggio della storia, un arcano strumento della Provvidenza, un chiaro segno dela potenza di Dio creatore, una figura esemplare del destino dell’uomo, sospeso tra grandezza e mi-seria, che soltanto nella fede e nell’abbandono a Dio può placare le proprie pene e ritrovare la pace.Infine, la letteratura, in particolare il romanzo, per Manzoni, è un mezzo di espressione per rappresentare le vicende storiche in una dimensione collettiva, non ristretta solo ai personaggi d'eccezione e si configura come un genere eminentemente «democratico» perché dà finalmente un volto, un nome, una dignità a quella moltitudine di uomini che altrimenti passerebbero inosservati sulla terra, senza lasciarci traccia.









Una versione del "5 maggio" tutta da ridere

 
 
 
 
 
Torna ai contenuti | Torna al menu