Gioco d'azzardo nella letteratura e a Natale - ZIP Rivista Letteraria per i Giovani

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Gioco d'azzardo nella letteratura e a Natale

Gioco d'azzardo, Natale e letteratura
Se il tavolo verde luccica più dell’Albero
Un pò di prevenzione in vista delle serate natalizie...


di Giulia Lionetto Civa


Il tavolo verde dopo mezzanotte diventa più affollato di quello del buffet; lo sfavillio delle fiches offusca quello delle palline dell’albero; l’amico si trasforma in rivale  e finanche il più insospettabile parente può rivelarsi un baro: è Natale Signori, si gioca! Se la compagnia è compatta e spregiudicata si sarà preventivamente procurata un pollo da spennare. In caso contrario sarà il tutti contro tutti.
Ma è solo un gioco? Talvolta,  non sempre.  Dipende più che dal fato dalla posta in gioco: perché se la nostra volontà avrà avuto la forza di imporre piccole scommesse, la sfortuna non potrà nuocerci più di tanto e potremo godere della serata senza, tutto sommato, rischiare e perdere troppo.  
Eppure, ha ragione Alain-René Lesage, autore di un romanzo del ‘700 “Diable boiteux”: il gioco è un’invenzione del diavolo. Dopo averlo sperimentato, infatti, è difficile resiste al suo fascino, alla tentazione di aumentare la posta, al sogno di cambiare la propria vita con un giro di poker.  Per dirla con Puškin 'la passione del gioco è la più forte delle passioni', è una droga che dà forti emozioni, che mette in circolo una quantità spropositata di adrenalina.  
«Il popolo napoletano, che è sobrio, non si corrompe per l’acquavite, non muore di delirium tremens; esso si corrompe e muore pel lotto. Il lotto è l’acquavite di Napoli!» diceva Matilde Serao, la scrittrice napoletana che, ne “Il ventre di Napoli” e ne “Il paese della cuccagna”, offre un affresco molto interessante sul problema. Più della cocaina e dell’alcool, il gioco d’azzardo, declinato in infinite forme con il sornione patrocinio di Stato, è diventato oggi l’acquavite, la droga più abusata d’Italia. Soprattutto durante le feste di Natale quando lotterie, visite ai casinò e bische clandestine si moltiplicano a dismisura mentre spot televisivi indecenti blandiscono con promesse di facili vittorie.
I bambini attendono da Babbo Natale il dono che potrà rompere la monotonia dei soliti giochi e la noia della quotidiana routine; gli adulti con la medesima, ingenua fiducia aspettano dalla sorte la carta o il numero che potrà restituire loro la giusta felicità. Eccoli, seduti al tavolo come “Il Giocatore” di Dostoevskij, con il cuore che batte, il volto pallido e tirato, lo sguardo impenetrabile, dimentichi della realtà e intenti solo ad inseguire l’illusione di cambiare esistenza senza fatica,  a dispetto delle circostanze avverse o della condizione di impotenza.
Il gioco attrae e ingabbia perché dà l’opportunità di “ridefinire” il proprio ruolo, di compiere imprese titaniche per audacia, fermezza d’animo e autocontrollo restando seduti a una sedia. Perché in teoria fornirebbe a tutti, al contrario della vita, le stesse possibilità e le stesse condizioni di partenza, creando un sistema di cui i giocatori conoscono e condividono le regole. Chiunque può diventare protagonista di un’immane tragedia o di un’impresa eroica di cui, però, ignora o finge di ignorare l’intima codardia.  
Scriviamo sul gioco  guardando dall’altro lato della palizzata, da moralisti forse. Per scrivere il dramma esistenziale di chi perde o di chi rimane impantanato nell’ossessivo desiderio di tentare la sorte, bisogna probabilmente averlo vissuto. Così le pagine più belle sul tema sono state scritte da Fedor Dostoevskij che nei casinò dilapidò intere fortune. Vi invitiamo a leggere il suo racconto, tra un giro di poker e una tombola, giusto per fare un po’ di prevenzione.
Assuefatti dalla quotidiana presenza nella nostra vita dei quiz, dei giochi televisivi, dei gratta e vinci nei tabacchini, dal giornalaio, alla fermata del tram, speriamo, in questo Natale, di poter fare del gioco non un’ossessione ma un allegro momento di aggregazione e di gioia. Che le nostre uniche preoccupazioni attorno al tappeto verde siano la carta truccata che spunta dal taschino dello zio come da quella de “Il baro” di Caravaggio o di Georges  de La Tour; la fiche scivolata nella manica del nostro caro amico;  la perdita di qualche spicciolo. Consapevoli che il vero tesoro e la vera ricchezza, non sempre scontata come si può pensare, consiste nel poter trascorrere le festività circondati da persone a cui si vuole bene!
Con l’augurio che il nostro “regalo di Natale” non sia mai quello dell’omonimo film di Pupi Avati e che i volti attorno a quel tavolo siano sempre lieti e distesi. Buone feste!

 
 
 
 
 
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