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Cercando mamma e papà:
Quando i figli si sentono abbandonati
di Laura Micale
La sensazione di dare alla luce una vita è qualcosa di unico e straordinario, comprensibile nella sua interezza solo alle mamme, quelle mamme con la “M” maiuscola che accompagnano il formarsi di una nuova vita dentro di sé, e alle coppie che desiderano un figlio e che con gioia e felicità sentono il primo calcio appoggiando la mano sul pancione, che piangono alla prima “foto” del proprio bimbo, componendo mese dopo mese il corredino del bebè, la lista dei nomi da scegliere e pensando già se sarà un ingegnere o un dottore. Il bambino avverte questo legame, segnato dal cordone ombelicale, dall’istinto di succhiare il latte della mamma e dall’ostinata ricerca delle somiglianze col papà.
Questi sentimenti sono assolutamente dettati dal compiuto desiderio di una coppia che decide di allevare un figlio, quando è pronta a sacrificare ogni scelta e persino ogni boccone per accompagnarlo sempre e per sempre!
Dovrebbe essere così anche dopo un divorzio (cosa possibile) che non dovrebbe precludere il benessere di un figlio e anche in caso di gravidanza indesiderata. Non dovrebbero esistere casi di maltrattamento, violenze e abbandono dei propri figli. Purtroppo, troppo spesso si sentono notizie di neonati gettati, chiusi in dei sacchi neri senza alcuna pietà e di liti coniugali che opprimono i bambini lasciandoli in uno stato di abbandono morale e fisico.
La pietas e la caritas cristiana ha affermato in maniera forte la sacralità della vita umana, in contrasto con i riti sacrificali d’origine pagana che spesso sacrificavano proprio i più piccoli e indifesi. Nella letteratura mitologica si parla di orrende uccisioni di fanciulli allo scopo di propiziare gli dei. La storia stessa ricorda episodi analoghi: ad esempio il sacrificio dei primogeniti ordinato da Erode o l’orrore bellico dei fanciulli uccisi, gridato in “Alle fronde dei salici” di Salvatore Quasimodo come “lamento d’agnello”.
Una voce che lascia triste il cuore ma che si ripete nelle tragedie familiari, nei casi in cui l’egoismo dei grandi ha la meglio sui bisogni dei piccoli, negli abbandoni sempre più frequenti di bambini che credevano che queste cose potessero succedere solo nella favola di Hansel e Gretel, i due fratelli abbandonati a causa delle difficoltà economiche della famiglia. Di queste storie la letteratura ci fornisce diversi esempi, alcuni trasformati in cartoni animati. Si pensi, ad esempio, a “Remì” che trae origine dal romanzo dello scrittore francese Hector Malot “Senza famiglia”. Ecco la dolcissima storia di Remigio: adottato ancora neonato da una donna che per otto anni lui crede essere la sua vera madre, Remigio viene affidato da quest’ultima, per problemi familiari, a una compagnia di girovaghi con dei cani e una scimmietta con i quali girerà l’intera Francia, affrontando tante peripezie, sino ad imbattersi nella sua vera mamma. Il piccolo soffre l’abbandono di quella che credeva la madre e la perdita dei suoi amici, fino a quando a Londra scopre di essere il figlio della signora Milligan. “Senza famiglia” è un romanzo del 1878, che ha commosso, e continua a commuovere!
Commuove anche il racconto di De Amicis, il famoso scrittore del libro “Cuore”, che nel racconto “Dagli Appennini alle Ande” narra un’altra tenera storia, simile a quella di Remì. Il protagonista qui è Marco, un ragazzino genovese che si imbarca per ricongiungersi alla madre, emigrata in Argentina alla ricerca di lavoro. Marco rappresenta la sete di amore e il bisogno disperato della figura materna che vive nel cuore di ogni bambino solo: ripercorre tutti gli spostamenti della famiglia presso cui la madre era a servizio, affrontando tantissime avventure dagli Appennini sino alle Ande, per ritrovare alla fine la madre, ammalata e stanca di vivere. Il figlio le dà la motivazione per affrontare l’operazione e curarsi. Anche da questo racconto sono stati tratti diversi film e trasposizioni animate di produzione giapponese. Così i cartoni animati portano sullo schermo la sofferenza di tanti piccoli che si sentono abbandonati o trascurati da uno o da entrambi i genitori e il loro bisogno di essere amati e protetti. Ricordano, inoltre, a quelli che hanno una famiglia serena quanto siano fortunati.
Anche Huck è un bimbo abbandonato e maltrattato dal padre. Si tratta del protagonista del romanzo di Twain “Le avventure di Huckleberry”. Il racconto è del 1881: è narrato in prima persona da Huck, l’amico di Tom, protagonista del precedente romanzo “Le avventure di Tom Sawyer”. Huck vive in una botte da zucchero, dopo essere stato abbandonato dal padre. E’ un bambino vivace e selvaggio, che viene adottato dalla signora Douglas che si prende cura di lui e del suo tesoro trovato in una caverna alla fine del precedente romanzo. Il tesoro, messo in banca, fa gola al padre che proprio per questo si fa vivo. Ottenuto l’affidamento del bambino, lo rinchiuderà in una capanna sperduta nei boschi dove, essendo spesso ubriaco, lo bastona. Ma Huck fugge e inizia una serie di avventure, sempre impegnato ad organizzare rocamboleschi piani!
Tutte queste sono storie che lasciano l’amaro in bocca, il nodo alla gola e gli occhi pieni di lacrime… purtroppo non è solo una finzione letteraria o cinematografica: ogni giorno troppi bambini muoiono per abbandono e maltrattamenti, soffrono per i divorzi sempre in aumento e vengono ricoperti di regali e giocattoli mentre l’unica cosa di cui avrebbero bisogno è un po’ d’affetto e un po’ d’amore. Occorrerebbe solamente che ci fossero più genitori coscienziosi e che le persone capissero il vero valore di una vita umana, che una volta nata va accudita, accudita per sempre e con amore. Non esistono al mondo ragioni sufficienti a giustificare l’abbandono di un figlio.
Ma questi libri, dicono soprattutto ai bambini e ai ragazzi che soffrono che non sono i soli e che anche per loro è possibile il lieto fine: purché non lascino che il loro cuore si indurisca e purché nutrano la fiducia di trovare qualcuno che li ami davvero.