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Un libro in vacanza, una vacanza in un libro
di Luigia di Biagio
Il torto peggiore che l’Università mi ha fatto, è stato togliermi il tempo per il libro delle vacanze. Oberata dai libri universitari per un anno intero, stremata dalla sessione estiva e già angosciosamente proiettata verso quello autunnale, un romanzo è diventato un lusso che non potevo più permettermi e che non mi sono quasi più permessa per anni. I libri sono diventati titoli, anni di pubblicazione, autori e sistema dei personaggi da portare all’esame di letteratura italiana. E la magia del richiamo di un libro iniziato? Sopita, paziente, suo malgrado.
Eppure, se penso alle mie vacanze estive ai tempi della scuola, riesco a distinguerle le une dalle altre soprattutto per i libri che ho letto: ognuna di quelle Estati ha il sapore del romanzo che è stato il mio viaggio.
Ogni sera, dopo aver salutato gli amici di sempre, partivo alla scoperta di nuovi luoghi e di nuove persone, incollata alla pagina fino alle prime luci dell’alba. Ho potuto viaggiare tanto, pur restando sempre nello stesso luogo, senza spendere nulla. Ho scoperto le splendide campagne dello Yorkshire e del Derbyshire, la regione dei laghi inglesi e la bellezza di una splendida dimora signorile in compagnia di Elisabeth Bennet. L’anno dopo in Danimarca, badando alle infide radici degli alberi, ho percorso più volte una stradina sterrata che scende giù fino al porto, fino all’odore forte dei pesci e delle barche che si avviano verso la Norvegia. L’Olanda, invece, la visitai da bambina, in inverno, con il canale ghiacciato e i pattini d’argento: per me avrà per sempre il sapore d’infanzia. Con Oliver Twist e David Copperfield ho visitato gli angoli più reconditi della vecchia Londra, nelle sere fumose e vagamente minacciose, rincuorata dal the con pasticcini nel salotto di una vecchia zia. Ho vissuto le Notti Bianche russe, in compagnia di due giovani innamorati, e ho conosciuto la frenesia di un gruppo di moscoviti davanti alla roulette, il pallore delle prime luci del mattino, gli occhi lucidi, il volto tirato di chi esce dal casinò. Della Francia, invece, conosco soprattutto la provincia: la campagna intorno al villaggio di Saumur dove vivono i Grandet; i boschi del Giura in cui risuona il maglio del padrone delle ferriere; la Franca Contea e Besançon visitata insieme a Julien Sorel. Ho gustato la cucina e i vini alsaziani, nell’accogliente casa del mio amico Fritz e nella fattoria della dolcissima Suzel. Cronin mi ha portato in Svizzera, ma il soggiorno è stato cupo e angoscioso come una breve incursione nella Germania di Thomas Mann, con in sottofondo le note del Tristano e Isotta di Richard Wagner. Svevo mi ha spalancato le porte di Trieste e delle sue case.
Con gli occhi assonnati ma con la mente eccitata, con la finestra spalancata sulla notte calda che appena rinfresca quando sta per albeggiare, dalla mia stanza ho visitato una buona fetta d’Europa. E quando mi sono persa, ho ripercorso su una cartina il percorso di un fiume, studiandone con una lente d’ingrandimento le sponde, su fino a un villaggio noto, a un bosco, a una radura. Qualcuno considererà sfigato chi viaggia in questo modo: costui non conosce la magia che questi viaggi della mente sprigionano, la loro perfezione e il loro potere conoscitivo. Non sa quali e quanti mondi meravigliosi un buon scrittore può svelare al suo lettore. Dimentica che un viaggio in carne e ossa svela i luoghi ma non il cuore dei suoi abitanti. Quest’estate, se potrò, vorrei viaggiare così di nuovo: stavolta mi piacerebbe visitare l’Irlanda, Dublino e la sua gente.