Parodia e poesia: La pioggia nel pineto - ZIP Rivista Letteraria per i Giovani

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Parodia e poesia: La pioggia nel pineto

 

FOLGORati dalla Parodia di una Poesia
La Pioggia sul Cappello

di Giulia Lionetto Civa


Almeno ad Agosto, giù dai piedistalli i poeti laureati … largo alle parodie!
Obbligati per mesi a pedantesche analisi di cataste e cataste di versi, alla ricostruzione biografica ed alla parafrasi, all’esame certosino della metrica, della retorica e dei “nobili riecheggiamenti”, ecco la lettura parodica suonare liberatoria! Come quando in tv, vediamo messi alla berlina quei politici che ci tassano e che ci opprimono: finalmente possiamo riderci su! E dopo aver riso, magari, riusciamo persino a trovarli più sopportabili.
Ecco perché abbiamo deciso di preferire al tronfio vate D’Annunzio il suo irriverente “imitatore” Luciano Folgore. Così, tanto per sgonfiare un po’ le vecchie mummie. Per alleggerirci dal peso dei compiti in classe.
Omero Vecchi in arte Luciano Folgore fu contemporaneo e “collega” delle sue vittime. Poeta,  narratore e giornalista rivestì un ruolo tutt’altro che marginale nella cultura italiana del primo novecento. Collaborò, ad esempio, a riviste importanti come La Voce di De Robertis e L’Italia futurista. Eppure di lui non c’è traccia nei manuali scolastici e le sue raccolte sono oggi pressoché introvabile. La critica seria, o meglio seriosa, sembra non aver mai digerito e perdonato gli “scherzetti” che Folgore volle fare a Pascoli, al Vate, a Carducci, a Gozzano, a Marinetti, a Ungaretti: “Gioca coi fanti ma lascia stare i santi”!
Invece, le sue parodie meriterebbero ben altra attenzione perché sono folgoranti, geniali, poesia a loro volta sebbene dissacrante, irrisoria e impertinente. Ecco, ad esempio, una parodia tutta da ridere della celebre poesia la Pioggia nel Pineto di Gabriele D’Annunzio:


Silenzio. Il cielo
è diventato una nube,
vedo oscurarsi le tube
non vedo l’ombrello,
ma odo sul mio cappello
di paglia,
da venti dracne e cinquanta
la gocciola che si schianta,
come una bolla,
tra il nastro e la colla.
Per Giove, piove
sicuramente,
piove sulle matrone
vestite di niente,
piove sui bambini
recalcitranti,
piove sui mezzi guanti
turchini,
piove sulle giunoni,
sulle veneri a passeggio,
piove sopra i catoni,
e, quello ch’è peggio,
piove sul tuo cappello
leggiadro,
che ieri ho pagato,
che oggi si guasta;
piove, governo ladro! ....

L’odi tu? Non è di passaggio
come l’acqua
di maggio,
che sciacqua la terra e la monda.
Sgronda terribilmente;
si sente il blasfemo
di un polifèmo ambulante,
si veggono ninfe e atalante
fuggire in un angiporto;
Plutone più vivo che morto
si pone una nivea pezzuola
sul feltro che cola;
Diana s’accorcia la tunica
fin quasi all’altezza del femore,
e Dedalo immemore a Marte
con toga a due petti e speroni
s’impalano ai muri con arte
per evitare i doccioni.
Cibele fa segno all’auriga
che incurva il soffietto alla biga,
e monta sul cocchio
mentre la furia di Eolo
le palpa il malleolo
le morde il polpaccio,
si sfibia
d’intorno allo stinco e alla tibia.

Bagnati dal coccige al collo,
dal naso al tallone d’Achille,
fradici fino al midollo,
cugini alle anguille,
nubili d’ombrello,
col solo cappello,
sentiamo che l’essere anfibi
sarebbe un superbo destino,
te biscia,
io girino,
e liscia la piova del giorno
ci colerebbe d’attorno,
non come Issïone
che fece la ruota a Giunone,
ma pari al Tritone
cui Teti concesse
- regalo di nume -
di potersi fare
un ampio palamidone
di schiume di mare.

E piove sempre,
sul càmice mio,
sul peplo tuo
colore oramai dell’oblio,
piove sul croceo e l’eburno
del tuo moccichino di seta,
piove sul cromo del mio coturno
che s’impatacca di creta,
piove sopra il cinabro
che t’impomidaura il labro,
piove sui tremoli tocchi
che t’anneriscono gli occhi,
e andiamo d’androne
in androne,
con facce da mascherone,
squadrandoci obliquamente
se qualche pozza lucente
ci specchia e ci invecchia
per farci morir di furore,
Narcisi
dai visi colore
di colla di paglia,
di succo di nastro,
d’impiastro di minio,
di guazzo assassino
di cipria e di carboncino.

E piove a dirotto
da tutte le nubi,
piove dai tubi
sfasciati
dell’acquedotto
del cielo,
piove sui cani spelati,
piove sul melo e sul tiglio,
piove sul padre e sul figlio,
piove sui putti lattanti
sui sandali rutilanti,
su Pègaso bolso,
su orïolo da polso,
piove sul tuo vestitino,
che m’è costato un tesauro,
piove sulla salvia e sul lauro
sull’erbetta e sul rosmarino,
piove sulle vergini schive,
piove su Pàsife e Bacco,
piove persin sulle pive
nel sacco.
E piove sopra tutto
sul tuo cappello distrutto
mutato in setaccio,
che ieri ho pagato
che adesso è uno straccio,
o Ermïone
che scordi a casa l’ombrello
nei giorni di mezza stagione.

E’ quasi meglio dell’originale. Come il più bravo degli imitatori sa riprodurre perfettamente la voce, l’espressione, i tic e le idee della sua vittima rovesciandoli in modo caricaturale, così Folgore è identico a  D’Annunzio e, nello stesso tempo, il suo esatto contrario. Rifà i suoi versi facendogli il verso:  il risultato è brillante. Possiede la virtù rara di riuscire a non prendere troppo sul serio neanche se stesso, dato che non manca di auto-imitarsi.

Perché quindi non leggere Poeti controluce e Poeti allo specchio, le due raccolte di poesie parodiche scritte rispettivamente nel 1922 e nel 1926? In fondo, qualche Folgore in più avrebbe solo potuto giovare alla troppo compassata letteratura italiana.
Suvvia ragazzi, un po’ di insolenza! Fate come Luciano: prendete il componimento più noto di un poeta che proprio non vi va a genio, imitatene il metro e il contenuto, ma abbassatelo, buttatelo giù dall’Olimpo, esagerate i suoi temi fino a trasformarli in manie. Imparerete a conoscerlo meglio (poiché, ahimè, dal conoscerlo quasi mai potrete esimervi del tutto!) ma avrete almeno l’enorme soddisfazione di avergli fatto un dispetto. E voi Prof., assegnate questo genere di compito in classe: vedrete che rendimento!




 
 
 
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